Il celebre illusionista e campione italiano di mentalismo Andrea Rizzolini porterà in scena, il 16 e 17 maggio al Teatro Sala Umberto di Roma, il nuovo spettacolo Incanti scritto da lui stesso e prodotto da Officine dell’Incanto. Sul palco, ci saranno anche 5 dei più grandi illusionisti italiani under 30: Dario Adiletta, Francesco Della Bona, Niccolò Fontana, Filiberto Selvi e Piero Venesia. Attraverso una serie di performance basate sull’illusione, il pubblico sarà portato a un’attenta riflessione su sé stesso e verrà chiamato a risvegliare il “fanciullino” che ognuno è stato.
Com’è nato il tuo primo approccio all’illusionismo? Quando hai capito che sarebbe stata la tua strada?
Quando ero molto piccolo mio nonno mi fece vedere la videocassetta del primo tour di David Copperfield in Italia. Rimasi affascinato da quello speciale televisivo e dalla sua celebre performance in cui lui volava; volare era per me un sogno ricorrente che facevo da piccolo. Lui volava sul palcoscenico in un molto simile a quello che avevo sognato. Solo molti anni dopo scoprii che lui, per realizzare quella performance, ha intervistato molte persone per capire come loro sognano di volare. Dinnanzi a una performance di quel tipo, provai una sensazione rara e decisi che avrei voluto fare quello nella vita.
Parliamo del tuo spettacolo Incanti, che andrà in scena il 16 e 17 maggio a Roma. Dove nasce l’idea per questo progetto?
L’idea dello spettacolo è nato l’anno scorso; volevo fare qualcosa con i miei amici, tutti giovani illusionisti under 30. Volevamo creare uno spazio in cui poter provare performance che avevo presentato ai Campionati del mondo. E’ nata così l’idea di non fare un semplice trucco di magia ma di usare questa occasione per portare in scena uno spettacolo teatrale di illusionismo. E’ stata una diretta testimonianza della ricerca artistica che ognuno di noi aveva sempre condotto, ed è diventato il pretesto per scrivere il testo per lo spettacolo. Un testo in cui cito diversi monologhi tratti da alcuni autori del teatro: Shakespeare, Pirandello ecc… Ciascuno di questi monologhi è stato scelto per introdurre performance dello spettacolo, e ci siamo poi accorti che il monologo e la performance si completavano l’un l’altra. Il monologo parlava di quello che la performance mette in scena, mentre la performance faceva vivere quello di cui il monologo parlava.
Si chiama inoltre Incanti perché mette in scena un’interrogazione sull’incanto, come esperienza difficile da vivere: abbiamo uno stordimento e non ci prendiamo il tempo necessario per apprezzare le piccole cose che sono i custodi dell’Incanto, della nostra capacità di meravigliarci. “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni“, diceva William Shakespeare: a partire da questa frase inizio quindi un discorso affrontare questo grande tema, e in qualche modo cerco di dimostrare cos’è l’incanto e la speranza.
Si parte dai pensieri dei più grandi autori del teatro e della letteratura italiani, per poi arrivare a delle riflessioni importanti sull’animo umano. Quale pensi che sarà la reazione del pubblico?
Non ci siamo mai confrontati con il pubblico di Roma e non sappiamo come reagirà a questo tentativo. Lo spettacolo di Illusionismo è difficile qui in Italia, e sono convinto che nessuno si aspetti di vedere uno spettacolo che tocchi temi così profondi come quelli che affrontiamo. Vogliamo mostrare al pubblico che un illusionista è come ogni altro artista, è qualcuno a cui domandare della propria umanità e a cui guardare in cerca di speranza. Per farlo bisogna dimostrare al pubblico che si può colmare il divario tra varietà e le altre forme d’arte. Il più bel commento che abbiamo ricevuto è stato: “Non pensavo che uno spettacolo di magia potesse essere anche questo“. La gente viene aspettandosi di vedere uno show di magia ma trova invece l’illusionismo. Noi mettiamo in scena l’esperienza di essere illusi.
Cosa rappresenta per te l’Incanto e, nella nostra quotidianità, dove possiamo incontrare questo incanto di cui parli?
E’ un esercizio quotidiano: è l’essere capaci di portare la nostra attenzione su cose che diamo per scontato. Io ora sto facendo una strada che faccio tutti i giorni per andare in Accademia, ma non porto mai l’attenzione al Qui e Ora. Do tutto per scontato sempre. Un tempo, quando non c’erano i telefoni, l’unica grande forma di intrattenimento era guardare il cielo, la notte stellata e cercare di vedere noi stessi riflessi in quello specchio nero. Identificare noi in quei punti luminosi: è nata così la mitologia umana. Dovremmo farci incantare dalla sua grandezza; il cielo è di tutti ma noi guardiamo sempre in basso. Incantarsi è invece essere capaci e accorgersi delle piccole cose. E’ un esercizio quotidiano che io stesso non compio sempre, perché la cosa più difficile è vedere la meraviglia in ogni luogo. L’incanto è qualcosa di ordinario che possiamo cogliere nel momento in cui ci rendiamo conto di questo stordimento.
L’obiettivo è quello di risvegliare il “fanciullino” che è in noi e di farci meravigliare delle piccole cose. Secondo te, qual è il modo migliore per raggiungere questa consapevolezza?
L’illusionismo nella sua forma più ingenua indirizza questo tipo di esperienza e pone indirettamente questa questione.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Questo spettacolo è ancora un work in progress; a Roma presenteremo un nuovo allestimento pensato per teatri più grandi. Lo spettacolo ha ancora un po’ di cose che vorremmo inserire. Sto inoltre scrivendo – con i miei colleghi Piero Venesia e Niccolò Fontana – il Manifesto dell’Illusionismo. Incanti è insomma un primo tentativo di spettacolo capace di parlare a un pubblico vasto e dimostrare, in un modo semplice, che l’illusionismo può permettersi di parlare di cose che riguardano la nostra umanità. Spiegare come l’Illusionismo debba essere utilizzato per produrre arte; mi sto quindi interessando a creare nuovi tipi di linguaggi come arti performative, cinema musica, capire che tipo di illusioni ci sono in queste forme di espressioni artistiche e portare a emergere queste illusioni.