Amore… uno dei temi principe della letteratura e della composizione, tema nel quale gli scrittori si cimentano e danno libera espressione a tutte le loro emozioni e sensazioni. Amore travolgente, complicato, passionale, idilliaco, emblematico, problematico, angelico, platonico, di qualunque forma esso sia è una continua ispirazione, che non solo influenza le loro vite, ma la loro intera composizione letteraria. L’amore visto come le montagne russe, momento di estremo piacere, se vissuto in compagnia della persona giusta con la quale affrontare il viaggio, ma al tempo stesso momento di ansie, dubbi e paure, di compiere un passo più grande di noi, un salto, un rischio che molte volte non riusciamo a correre o che inizialmente ci rende frenati e timorosi riguardo al prossimo passo da compiere. E’ proprio per questo, quando si trova un amore così unico, bello e speciale, che a volte lo si rovina, con gesti che non ci saremmo mai aspettati di compiere, che un tempo avremmo ripudiato, ma che al momento si sta attuando, per la troppa paura. Perché la paura molte volte ci fa diventare ciò che non siamo, ci trasforma irrigidendoci, fino a che non si arriva ad un bivio che ci permetterà poi di capire qual è la scelta più giusta per la nostra vita, per noi. Questo è il motivo per cui molte volte il tradimento è un pensiero diffuso, e un caso famoso nella letteratura italiana lo riscontriamo in Eugenio Montale.
L’autore, conosce Drusilla Tanzi nel 1927, convivendo poi nel 1939, una situazione apparentemente serena e idilliaca la loro. Tutto cambiò, però il 15 luglio 1933, quando una donna, ebrea,colta, poliglotta e cosmopolita bussò alla porta di Viesseux, affascinata dalla poetica di Montale, inconscia di ciò che da lì a poco sarebbe accaduto. Irma Brandeis, intratterrà infatti una relazione dapprima visiva e poi epistolare con lo scrittore dal 1933 al 1939, diventando la mitologica Clizia, musa ispiratrice di due opere dell’autore. La donna viene vista come glaciale, furba e quasi irraggiungibile, il sentimento per Clizia era più che amore una vera e propria venerazione. La loro relazione si basa su brevi ma intensi, intensissimi, momenti trascorsi insieme tra caffè, parchi e fiumi, ma poi la distanza, il viaggio di Irma, Montale che vorrebbe raggiungerla ma impossibilitato poiché la moglie a conoscenza di tutto, cerca più volte di togliersi la volta, impedendogli ogni tipo di spostamento. Nulla cambierà in meglio, al contrario la distanza tra i due diventerà sempre più incolmabile, così decideranno di porre fine al loro amore. Un amore lontano, non solo fisicamente, ma problematico e difficoltoso in sé. Un amore forse destinato a terminare, perché sbagliato sin dal suo sbocciare. Un amore che forse ha permesso all’autore di compiere un viaggio all’interno del suo cuore e dei suoi stessi sentimenti, che gli hanno fatto comprendere che stava per perdere l’amore della sua vita, la compagna che non lo ha lasciato andare via, che nonostante tutto ha preferito sempre lui a chiunque altro, nonostante gli errori, nonostante tutto. E’ qui che si trova la potenza dell’amore, saper perdonare gli sbagli altrui, porre rimedio ai conflitti, ai problemi, rimediare alle difficoltà, sostenersi sempre e camminare insieme, mano nella mano, tutte le scale, gli alti e bassi, i limiti, che la vita ci pone davanti, essere forti e uniti, perché separati si è felici a metà, insieme lo si è il doppio. Le scale sono proprio la metafora utilizzata dallo stesso compositore nella poesia dedicata a Drusilla Tanzi, scritta dopo la morte della stessa. I due coniugi si sposano nel 1962, ma una caduta di Drusilla con conseguente rottura del femore, farà si che il loro matrimonio sarà molto breve, poiché nel 1963 avviene la sua morte. Nel 1967 il poeta dedica alla sua amata moglie le sue future opere, e nella raccolta “Satura” si trova una poesia intitolata “Ho sceso dandoti il braccio”, nel quale racconta come il loro percorso seppur breve è stato allo stesso tempo particolarmente intenso. La scala è la metafora del viaggio da loro percorso assieme durante il loro amore, e la mancanza che il poeta avverte è tanta poiché l’assenza della sposa gli fa sentire il vuoto in ogni scelta, in ogni azione, in ogni gioia che egli si trova ormai a vivere solo e a non condividere più con la persona che non avrebbe mai desiderato perdere. Tutto gli sembra più complicato, più difficile da sostenere, poiché era lei a guidarlo, ad aiutarlo, a sostenerlo qualsiasi situazione egli stava affrontando.
La figura di “mosca” da lui definita così per la sua montatura di occhiali molto spessa dovuta alla gradazione alta di miopia, è quindi una vera è propria guida, una donna moderna, che non si avvicina alle figure femminile presenti nella letteratura prima di allora, una donna forte e consapevole, più dello stesso autore, un canone femminile molto più vicino alla donna attuale.
Ho sceso, dandoti il braccio
(Eugenio Montale)
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.
Articolo realizzato da Manuela Ratti